Il reindirizzamento e una dose di sollievo deflazionistico hanno risparmiato alle società statunitensi l’ondata di insolvenze che molti temevano. Dall’inizio del 2025, i dazi all’importazione dell’amministrazione Trump – un’aliquota tariffaria effettiva dell’11,2% entro agosto che potrebbe salire al 14% entro la fine dell’anno – hanno sconvolto i flussi commerciali globali senza innescare un’impennata dei fallimenti delle imprese statunitensi. Gli importatori e i produttori stranieri hanno in gran parte assorbito lo shock.
Molti esportatori hanno ridotto i prezzi per rimanere competitivi, trovando anche nuove rotte attraverso paesi terzi come India, Vietnam e Messico per eludere i dazi più elevati. Questo diffuso reindirizzamento ha fatto sì che le aziende statunitensi si trovassero spesso ad affrontare aumenti dei costi inferiori a quanto temuto. Nel frattempo, i dazi stessi hanno agito da scudo per i produttori nazionali, frenando la concorrenza straniera nel mercato statunitense.
Il peso dell’effetto dei dzi potrebbe essere semplicemente ritardato, non schivato del tutto. Man mano che la capacità degli esportatori esteri di assorbire i costi raggiunge il limite, una parte maggiore dei dazi si ripercuoterà inevitabilmente sui prezzi statunitensi. Con l’aumento dei prezzi all’importazione, prevediamo che entro la metà del 2026 il trasferimento dei dazi contribuirà con un ulteriore +0,6 punti percentuali all’inflazione statunitense.
Secondo le nostre previsioni le ricadute della guerra commerciale potrebbero in ultima analisi colpire più duramente i paesi al di fuori dei confini statunitensi.